Tribunale di Monza - Mancando qualsivoglia definizione
legislativa dell’attività "omeopatica" non è possibile qualificare la stessa
come pratica terapeutica tout court "non convenzionale", facendola confluire
nell’alveo dell’esercizio dell’attività medica, per la quale è quindi
richiesta l’iscrizione all’albo professionale. La giurisprudenza nel
definire le pratiche terapeutiche "non convenzionali", ne delinea i
caratteri che le qualificano come attività medica: una diagnosi di
un’alterazione organica o di un disturbo funzionale del corpo o della mente,
l’individuazione dei rimedi, la somministrazione degli stessi da parte del
medico.
La attività di omeopata può integrare gli estremi del reato d’esercizio
abusivo della professione medica unicamente nell’eventualità in cui essa si
sostanzi nella diagnosi di una malattia, ovvero nella commercializzazione di
prodotti o preparati medici, comunque perseguenti finalità terapeutiche.
Per approfondire:
Centro Studi di Diritto Sanitario (www.dirittosanitario.net)
Scheda Operativa n. 3 - "La forma del Consenso Informato"
Riflessioni sul pericolo della sentenza recente del
tribunale di Monza
di Carlo Di Stanislao
“Nelle fasi di cambiamento chi non cambia deve essere
cambiato”
Angelo Barozzi
La sentenza del Tribunale di Monza, pubblicato on-line da
www.dirittosanitario.net il 7 febbraio scorso ci costringe ad alcune, allarmate
riflessioni. Lo sforzo compiuto dalle medicine complementari per posizionarsi
all’interno del campo medico definito dalla medicina scientifica occidentale ha
una serie di costi e costringe a trovare argomentazioni per rispondere in modo
convincente alla parte medica più ostile alle medicine complementari. Un punto
particolarmente problematico è la relazione con il metodo scientifico.
Il problema dell’efficacia, valutata in termini scientifici, dei
risultati delle medicine complementari è il problema centrale della controversia
tra medicina ufficiale e complementare. È innegabile che l’utilizzo di un metodo
scientifico rigoroso, basato sulla continua valutazione dell’evidenza statistica
dei risultati e la comprensione sistematica dei meccanismi causali
dell’insorgere delle patologie, ha consentito alla medicina occidentale di
raggiungere velocemente risultati mai raggiunti prima.
L’assunzione di una metodologia scientifica ha consentito alla medicina
occidentale moderna di superare i vincoli e le restrizioni che caratterizzano
sistemi di pensiero basati su tradizioni, credenze e fedi religiose. I progressi
ottenuti sono stati possibili solo perché si è tentato di fare della pratica
medica una pratica scientifica. Le medicine complementari, per poter essere
prese in considerazione, devono adottare standard simili alla biomedicina e
fornire evidenze scientifiche della loro efficacia. Le conoscenze su cui le
medicine complementari fondano il loro sapere sono spesso carenti di
sistematicità, basandosi su casi singoli o affermazioni che non vengono
verificate.
Per poter essere accettate, queste pratiche devono dimostrare, attraverso
sperimentazioni fondate sul metodo scientifico, di essere effettivamente
efficaci, di essere riproducibili e di saper dare indicazioni circa i protocolli
da seguire per applicarle e verificarle. Solo se potranno fornire tali
dimostrazioni saranno integrate a tutti gli effetti nelle pratiche terapeutiche
correnti. Ma ottenere la legittimità scientifica, non è esente da ostacoli
evidenti che impediscono di ottenere con facilità tale legittimazione. In
proposito, tre questioni appaiono particolarmente rilevanti e problematiche: la
possibilità e l’utilità di definire standard riproducibili di intervento e di
verifica, la difficoltà di valutazioni oggettive e la possibilità di sottoporre
a prove sperimentali l’efficacia di una terapia cercando di isolare i singoli
fattori che possono contribuire ad ottenere risultati ritenuti significativi.
In merito alla prima questione, la ricerca di leggi universali e di
prevedibilità, le medicine complementari oppongono l’importanza
dell’individualità e della singolarità di ogni malattia e di ogni terapia.
Infatti, la visione olistica tende a sottolineare l’importanza dell’unicità dei
soggetti che non possono essere compresi secondo logiche meccanicistiche e
riduzionalistiche, che non rispondono dunque a sollecitazioni standard in modo
standard. La ricerca di valutazioni oggettive viene criticata, in quanto le
medicine complementari interpretano il percorso di guarigione come un cammino
individuale caratterizzato dal “prendersi tempo” e ristabilire i propri
equilibri interiori. Ciò significa che il tempo della guarigione ha
carattere necessariamente soggettivo, come anche la relazione con il terapeuta
che assume una valenza fondamentale. Il terapeuta assume nuova importanza e deve
essere il più possibile consapevole dell’influenza esercitata dalla sua azione
sul percorso terapeutico. La cura non è solo nella tecnica o nel farmaco, ma
anche nella relazione, quindi l’efficacia della cura non può essere valutata
solo in modo oggettivo. Pertanto, nelle medicine naturali, il ruolo del
terapeuta è essenziale per la scelta del rimedio ed il risultato finale.
Letture consigliate
- Di Stanislao C.: Argomenti di Medicina. Il dilogo e l’integrazione fra
culture e modelli.
- Pizzorno J.E., Murray M.T.: Trattato di Medicina Naturale, Voll I-II, Ed. Red,
Como, 2001.
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