“Il ricordo del piacere non è più piacere. Il ricordo del
dolore è ancora dolore”
Lord Byron
“Per un istante le nostre vite si sono incontrate.. le nostre anime si sono
sfiorate”
Oscar Wilde
“Il cuore di ciascuno è un universo a sé, e pretendere di definire l’amore,
cioè tutti gli amori, è, per chiunque abbia vissuto, una pretesa assurda”
Paul Bourget
Succede a tutti: guardando un film si è condizionati dalla particolare
situazione interiore che ci si trova a vivere, che spinge a percepire ciò che si
vede in modo estremamente personale. Non è una scoperta della cinematerapia se
si pensa alla definizione di catarsi che Aristotele dava nel 300 a.C.: la
purificazione e il sollievo dell’animo esercitati sugli spettatori dalla
rappresentazione dell’animo stesso.
Da dieci anni a questa parte negli USA e recentemente anche in Italia, sta
emergendo un nuovo modo di osservare il film. Non più solo come puro
“entertainment” ma anche come strumento di auto-conoscenza e di trasformazione
esistenziale. Un equivoco, inoltre, è subito da fugare. Non si tratta di
psicoterapia e non assomiglia neppure lontanamente alla psicoanalisi. Non si
tratta, infatti, di curare patologie, bensì di agevolare processi trasformativi,
di migliorare la consapevolezza e di aiutare le persone a prendere decisioni
importanti. Uno strumento in più per lo psicoterapeuta per aiutare il paziente a
superare momenti difficili della vita prendendo consapevolezza delle proprie
emozioni e dei propri sentimenti. Si tratta di osservare il film, aiutandosi con
la “chiave di lettura” consegnata dagli autori prima della visione, eliminando
gli aspetti più specifici della tecnica cinematografica e focalizzandosi solo
sulle emozioni scaturite dalla storia.
Un esperimento del genere è in corso presso l’Istituto di Neuroscienze di
Firenze, dove esiste un programma “cinema therapy” in cui un gruppo di 5,
6 persone vede un film e successivamente ne discute con lo psicologo o lo
psichiatra. Si parte dall’identificazione con i personaggi della storia per
aumentare la consapevolezza di se stessi. Nella situazione cinematografica i
fenomeni dell’identificazione sono molto intensi, poiché lo spettatore si
abbandona con tranquillità ai processi psichici che il film innesca. E i
pazienti hanno modo di esprimere le proprie emozioni e parlare di sé.
Pare che negli Stati Uniti sia molto in voga, per esempio, la serie
dell’Ispettore Callaghan, impersonato da Clint Eastwood, per aiutare persone che
soffrono di ansia cronica. “I pazienti, infatti, sono molto più ricettivi nel
parlare di argomenti in qualche modo esterni, cioè messi in scena dagli
interpreti di un film, piuttosto che doversi confrontare con aspetti della
propria vita” – sostiene Fuat Ulus, psichiatra americano, autore del volume
“Movie Therapy, Moving Therapy”. E di cinematerapia non ne esiste una soltanto.
Non c’è una sola definizione di cinematerapia” secondo Birgit Wolz,
psicoterapeuta californiana che ricorre all’aiuto delle pellicole da un decennio
e ha dedicato, all’effetto benefico della cinematerapia, un sito ad hoc (
www.cinematherapy.com/filmindex.html ).
Si va dalla popcorn cinematerapia che implica la visione di un film
con lo scopo preciso di lasciarsi andare alle emozioni più profonde. Poi esiste
quella evocativa, in cui i film servono per imparare qualcosa di più di
se stessi. Si tratta di consigliare film che riguardino in modo specifico la
propria situazione attuale. L’ultimo film di Tim Burton, "Big Fish", per
esempio, è utilissimo per rielaborare il rapporto padre-figlio. Quindi esiste la
cinematerapia catartica in cui si tratta di ridere o piangere davanti a
un film, se fatta seriamente può essere il primo stadio di una psicoterapia.
Durante la visione del film la Wulz consiglia di stare seduti molto comodi e
annotare tutto quello che piace e quello che non piace di ciò che si vede, con
particolare riferimento per i personaggi che si desidererebbe emulare per
qualche ragione. Ma esiste anche una terapia filmica in cui tratta, addirittura
di diventare regista, fare, cioè, il proprio film o scrivere una
sceneggiatura della propria vita, uno strumento particolarmente utile al
terapeuta di fronte a casi di depressione o di altre patologie psichiatriche.
Paure infantili? Si consiglia Il re leone. Divorzio? Kramer contro Kramer.
Difficoltà a superare il passato? C’é Mystic River. Problemi di coppia? Lezioni
di Tango di Sally Poterr.
In definitiva i film permettono di affrontare le emozioni più complesse in
modo sicuro, poiché qualcun altro vive sullo schermo ciò che si prova. In questo
modo si è costretti ad essere sinceri con se stessi, cercando di non evitare i
problemi, le nostre illusioni e il nostro modo di affrontare le situazioni.
Innanzitutto si reagisce a ciò che accade sullo schermo e ci si identifica con i
personaggi e, in un secondo momento, si prendono le distanze e si ragiona su
come affrontiamo questi temi nella nostra vita. . Il film è uno strumento
particolarmente adatto a lavorare sulle emozioni e per mettere a nudo aspetti
spesso totalmente inconsci della vita degli individui. Ma emozionarsi solamente
non basta: ecco perché questa disciplina propone il film come strumento, come
mezzo di trasporto per giungere nell’intimità delle persone e sciogliere nodi
strutturali anche complessi.
Una avvertenza, in conclusione: la
cinematerapia non può essere considerata una terapia a tutti gli effetti, ma
soltanto un utile supporto per il terapeuta.
A cura di: Carlo Di Stanislao
Per approfondire
- Ciappina G.: I benefici della Cinematerapia,
http://www.solaris.it/indexprima.asp?Articolo=1093, 2004
- Peske N., West B.: Ul film dopo l’altro verso la felicità, Ed. Feltrinelli,
Milano, 2004.
- Peske N., West B.: Cinematerapia. C’è un film per ogni stato d’animo, Ed.
Feltrinelli, Milano, 2003.
- Solomon G.: The Motion Picture Prescription and Reel Therapy, Ed. University
of Chicago Press, Chicago, 2003.
- Wolz B.: The Cinema Therapy Workbook: A Self-Help Guide to Using Movies for
Healing and Growth, Ed. Haper, New York, 2000.
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