Parlando con un mio caro amico, bioarchitetto, ho sentito una riflessione che mi
ha fatto pensare molto.
Lui afferma che “la bioarchitettura è una contraddizione in termini, non
dovrebbe esistere. Infatti, se la bioarchitettura è l’architettura ‘ideale per
la vita’, allora, che cos’è architettura - quella senza il prefisso bio? A che
cosa serve? E, soprattutto, che cosa ha combinato?”
In effetti l’osservazione non è da poco. Abbiamo già fatto notare che la
definizione del termine “architettura”, su un qualunque vocabolario, non fa
riferimento all’uomo né all’ambiente circostante.
Questo di per sé è già un segno importante, significa che al centro
dell’architettura “comunemente intesa” non c’è l’uomo. Né il contesto
geografico, climatico, geologico, ecologico, socioculturale in cui si va a
costruire.
Ora, è caratteristica degli occidentali gettarsi gioiosamente in ogni novità,
verso il radioso futuro di sviluppo e successo. Permettetemi invece di fare
l’orientale. Permettetemi un attimo di distacco e di osservazione imparziale su
questo periodo storico.
Tanto più un cambiamento è significativo ed importante, tanto più dev’essere
ponderato; dev’essere considerato rispetto alla sua integrazione con il passato
e ai suoi effetti sul futuro. Prima di vedere dove si sta andando, è importante
sapere dove si è!
Quindi, prima di abbracciare la bioarchitettura senza riserve, meglio valutare
bene la situazione.Perché, da qualche anno, questo grande successo della
bioarchitettura?
La bioarchitettura è stata per parecchi anni una disciplina “minore”, “di
nicchia”, in quanto gli alti costi di produzione dei materiali utilizzati ne
limitavano parecchio la diffusione.
In più bisogna dire che questa disciplina è stata spesso irrisa, da molti
architetti in primo luogo, ed accusata ora di esotismo, ora di originalità ad
ogni costo, di prodotto di lusso, di essere una “moda per ricchi”, di qualcosa
per i nostalgici del passato.
E tuttora, frequentando per lavoro molti architetti, ne incontro una buona
percentuale che, sentendo parlare di bioarchitettura ridono, sbruffano,
minimizzano, denigrano, senza, magari, avere alcuna conoscenza in merito. Questo
comportamento è sintomo di uno scontro, una discontinuità all’interno
dell’architettura, speriamo foriera di un cambiamento positivo.
Ma, da qualche anno, tutto questo è cambiato. Si parla sempre più di
bioarchitettura, le strutture statali iniziano a interessarsi, vengono proposti
corsi, nascono ditte specializzate in bioedilizia e simili. Tutto questo – in un
certo senso – è un bene, ma non significa automaticamente abbracciare la
bioarchitettura come soluzione definitiva nel campo delle costruzioni.
Facciamo un salto indietro e chiediamoci perché molte delle tecniche ora
utilizzate in bioedilizia, non sono state utilizzate anche nel passato recente.
Mi riferisco al XX secolo, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale,
diciamo dal 1950 in poi? Forse che le tecniche erano troppo costose? O non
realizzabili per l’epoca? La risposta è: no! Molte di queste tecniche prendono
spunto dalle modalità costruttive degli antichi, ad esempio:
- il recupero dell’acqua piovana dai tetti, utilizzata nei giardini o per
l’impianto idrico
- il riutilizzo delle acque bianche per lo scarico del WC
- l’utilizzo di certi abbinamenti di materiali per migliorare la coibentazione
della casa, e diminuire quindi il consumo energetico
- la costruzione di cisterne per l’accumulo di acqua nelle regioni con clima
mediterraneo, asciutto
- l’opportuno orientamento dell’abitazione e l’apertura di finestre in un certo
modo
- l’uso adeguato delle risorse energetiche presenti sul territorio, evitando
così enormi costi di trasporto
Tutti interventi che hanno un costo quasi nullo ed una difficoltà di
realizzazione irrisoria. Il fatto è che è stato scelto di costruire in modo
selvaggio, innaturale, svantaggioso per l’uomo. Ed è stata una scelta
deliberata. Ora io mi chiedo, com’è possibile che, collettivamente, i
responsabili dello scempio che è stato fatto a livello costruttivo e urbanistico
negli ultimi 70 anni, diventino ora i profeti della buona novella?
Com’è possibile passare dall’architettura alla BIOarchitettura senza farsi,
prima, un profondo esame di coscienza? Un riesame del ruolo dell’architetto
nella società odierna? Magari provare a cercare le vere radici
dell’architettura…
Ma continuiamo il nostro esame. Che cosa vediamo dunque oggi?
In Italia le potenzialità della bioedilizia iniziano ad essere chiaramente
percepite anche dalle istituzioni, che stanno attivando in diverse zone del
paese iniziative molto interessanti sotto il profilo della promozione di una
edilizia sostenibile. Ma perché? Perché ci stiamo avvicinando sempre di più ad
una crisi energetica!
Il petrolio diminuisce e costa sempre di più, i consumi di energia pro capite
aumentano continuamente, i costi di produzione e trasporto crescono come non
mai, il nucleare è un casino, è ovvio che si agisca con l’obiettivo di ridurre
al massimo gli sprechi e che si cerchi di massimizzare l’efficienza di ogni
macchinario, processo, costruzione. L’alternativa è il disordine sociale…provate
a pensare che cosa potrebbe succedere se mancasse il gas a gennaio nelle grandi
città. Saremmo veramente costretti ad utilizzare il sole, il mare, il vento. Tutto questo è ovvio – ma andava fatto 70 anni fa. Stiamo facendo ora ciò che
sarebbe stato prudente e logico attuare 70 anni fa!! Ora ci siamo buttati
sull’eccesso opposto. Ormai ci sono le case passive! Non quelle che consumano
poca energia per il riscaldamento, o quasi zero, e nemmeno zero! Ci sono quelle
che ne producono!
Ma
l’inquinamento è una cosa naturale. Perché vogliamo evitare l’inquinamento?
Perché vogliamo fare finta che non esista? Anche la volpe che fa i suoi bisogni
“inquina” un poco. Ma questo “inquinamento” viene riassorbito dall’equilibrio
naturale e trasformato anzi in nuovo nutrimento. Ora, io mi chiedo: non era
meglio iniziare a costruire nel secolo passato, inquinando pochino pochino, in
modo che questo venisse riassorbito nel ciclo naturale, senza contraccolpi,
piuttosto che trovarsi adesso con il 95% delle abitazioni assolutamente
inadeguate, ed iniziare una corsa contro il tempo, comunque persa in partenza?
Forse era meglio attuare congiuntamente delle politiche energetiche, edilizie,
urbanistiche più rispettose dell’ambiente e degli stessi uomini. Su quanto è
stato fatto negli ultimi 70 anni, esiste una responsabilità collettiva dei
progettisti ed architetti, condivisa con altre corporazioni, che non può essere
elusa. Non si può fare finta di niente.
L’aspetto tragico delle scelte politiche di questo periodo, è che lo
sfruttamento incondizionato dell’ambiente, sotto tutti i punti di vista, non è
nemmeno stato a vantaggio dell’uomo. In questo caso, forse, sarebbe stato
persino giustificabile. Ma basta che ci guardiamo intorno: al giorno d’oggi,
fronteggiamo crisi di mancanza d’acqua, siccità, inquinamento, disservizi della
rete elettrica, difficoltà nello smaltimento dei rifiuti…Questo è il retaggio
che ci è stato lasciato dagli ingegneri, architetti, progettisti, urbanisti,
pianificatori dell’ultimo secolo.
Ora, quindi, la bioarchitettura tira molto, e vende. E infatti tutti ci si
buttano sopra… è l’affare del nuovo secolo!
Ma parliamoci chiaramente. La bioarchitettura non risolverà davvero i problemi,
semplicemente perché non può risolverli. I problemi infatti stanno a monte, nei
comportamenti e nelle idee delle persone.
Quando è stata inventata la fossa settica, fantastico! Così le fognature non
saranno più necessarie, con conseguenti grandi risparmi. La fossa riceve, i
batteri decompongono, l’acqua residua, pulita anche se non potabile, viene
lentamente assorbita nel terreno o scaricata.
Peccato che nessuno ha avvertito la popolazione che il funzionamento della fossa
settica è basato su batteri vivi, e che i detersivi ed i prodotti chimici li
uccidono, rendendo la fossa inutile. Peccato che non sia stata fatta una legge
per eliminare dal commercio i detersivi chimici e favorire quelli biologici.
Risultato? Le fosse non funzionano. Però abbiamo un mucchio di gente che
guadagna svuotando le fosse, che sono state concepite proprio per evitare
questo.
Non è il fatto di costruire in bioarchitettura che ci può aiutare, se
contestualmente non cambiano gli stili di vita, i tipi di consumo,
l’organizzazione del lavoro e il valore che si dà alle cose.
Un ringraziamento particolare a Stefan Vettori www.creativefengshui.it
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