Emozioni sudafricane: lettera aperta di un biker alla figlia
Cara Stefania,
a volte mi capita di vedere un’immagine, ascoltare una notizia, vivere
un’emozione e di pensare: "Ne devo parlare con Ste!" Ma sono cose, sensazioni
che non si possono descrivere per mezzo di uno scarno SMS o al telefono, ed
allora, rimando al nostro prossimo incontro, che magari, avviene dopo troppi
giorni, quando ormai quella cosa ha perso quella forza, quel significato.
Ancora una volta sto facendo un viaggio, ancora una volta in un angolo lontano
del mondo molto diverso dal nostro, ancora una volta le condizioni non sono
agevoli e sono con persone che certamente mi aiuteranno a crescere; ancora una
volta è forte in me il desiderio di volerti trasmettere le sensazioni, anche più
intime, che sto provando…
E’ un’ora impossibile e tutti dormono nelle loro tende. Il vento soffia e fa
frusciare le fronde degli alti alberi di una radura raggiunta ieri, dopo oltre
145 km di bicicletta attraversando una delle zone più aride di tutto il Sud
Africa: è da qui che ti affido questo mio scritto.
Siamo arrivati a Johannesburg in mattinata e nell’aeroporto stesso abbiamo
noleggiato tre furgoncini KIA Pregio 2700 diesel da undici posti ciascuno ed un
grosso carrello scoperto. Nei VAN hanno trovato posto le 24 persone che hanno
aderito al primo raid in bicicletta del Sud Africa, organizzato da Maurizio
Doro, compresi i bagagli, le scorte di viveri e la preziosissima acqua; nel
trailer, sono state messe le 21 biciclette e tutte le parti di ricambio, nonché
gli attrezzi.
Dopo alcune tappe di trasferimento (direzione sud-ovest, 1000-1500 km circa) e
la visita a Kimberley di una miniera di diamanti, siamo giunti al limitare del
deserto del Kalahari dalle dune rosse, poco distanti dal confine con la Namibia.
Lì, abbiamo finalmente tolto le bici dai loro involucri protettivi ed abbiamo
iniziato a pedalare lungo le piste, puntando dritti verso nord.
L’impatto con la dura realtà del deserto è stato tremendo: solo il primo
giorno, i pulmini al seguito hanno subito due forature ed un grave
insabbiamento. I biker sono quindi stati costretti a trasformarsi in meccanici e
soccorritori di quegli stessi mezzi che rappresentavano il loro sostegno.
Inoltre, queste piste non sono percorribili in altre stagioni dell’anno, se non
quella estiva, per cui le temperature elevate, sommate alla fatica, hanno
ulteriormente debilitato il gruppo.
Tutto
ciò per dire che già a conclusione del primo giorno di pedalata, alcuni erano
con la febbre e sotto massicce dosi di tachipirina.
In quattro tappe, abbiamo attraversato una zona del deserto del Kalahari da sud
a nord, entrando anche nel Botswana. Per giorni, il paesaggio è rimasto
pressoché uniforme con temperature incredibili: 40° all’ombra e 58° diretti (i
cristalli liquidi dei computer si liquefacevano, se lasciati al sole!). Per ore
ed ore, in assoluta solitudine, abbiamo pedalato nel nulla lungo piste pietrose
o sabbiose, assistiti (e soprattutto dissetati) da coloro che di volta in volta
si alternavano alla guida dei mezzi meccanici, trovando rare occasioni di ombra
al riparo delle spinose acacie o di arbusti cespugliosi.
Sul fare della sera, quando le scorte d’acqua (ormai tremendamente calda)
arrivavano al termine ed il sole implacabile era già tramontato, quasi per
incanto, si materializzava una fattoria boera oppure una verde oasi (un bravo ad
Alex, nostro pianificatore del viaggio). In alcune occasioni, addirittura, le
poche parti scoperte (e bruciate) del corpo e l’arsura delle labbra hanno
trovato un immediato refrigerio grazie ad un vero e proprio bagno di gruppo in
piscina (incredibile, ma vero!).
Le
grigliate sotto una fantastica coperta di stelle luminosissime e le dormite più
o meno tranquille nelle nostre tende (causa scorpioni od altro), si sono
succedute con regolarità e sistematicità.
Poche persone e diverse razze abbiamo incontrato lungo il percorso: ci hanno
sempre e tutti mostrato cordialità, ospitalità e simpatia.
Il safari fotografico al “Kgalagadi Transfrontier Park” ci ha regalato immagini
di rara forza e bellezza degli animali liberi nel loro ambiente naturale:
giraffe, antilopi, struzzi, zebre, gnu, leopardi, rapaci e perfino una leonessa
distesa affianco ad un erbivoro parzialmente già divorato…
Passare dai boscimani che vendono i loro souvenir all’esterno delle loro
povere tende di paglia, alle zone più a sud con le scritte rupestri degli
ottentotti, è stata questione solo di qualche giorno di trasferimento
all’interno dei pulmini e/o a cavallo delle nostre biciclette.
La pedalata più bella è stata per tutti sicuramente quella fatta nell’
“Augrabies Falls Park”, ove nei millenni, il fiume Orange si è ha scavato un
fantastico canyon nelle rocce di granito con cascate di oltre settanta metri. Se
si eccettua la presenza dei molto pittoreschi Kokerboom (piccolo albero col
tronco simile al baobab) e di animali di altro tipo, gli scenari circostanti
ricordano l’Arizona.
Arrivando a Città del Capo con la stupenda e singolare cornice della Table
Mountain e dell’omonima penisola, tanti sono i flash che mi martellano la mente
in continuazione, senza ordine di continuità: la lotta del suricate con lo
scorpione trovato da Gianni sotto la sua tenda, le improvvise trombe d’aria
lungo la pista per Calvinia, il cobra eretto e pronto ad attaccare le bici (con
noi sopra) passate a meno di un metro da lui, gli arcobaleni, il gelato alla
crema con cioccolato fuso a fine cena nell’oasi in mezzo al deserto, le lunghe,
lunghissime, interminabili strade diritte, la tanto desiderata ombra di un
albero trovata solo dopo oltre 100 km di pedalata…
Sarà stato per le biciclette lasciate inutilizzate, ordinate ed impolverate
sul carrello, o perché è proprio così, sta di fatto che Città del Capo ha
rappresentato per noi un mondo a parte, completamente a sé stante rispetto a
tutto ciò vissuto fino a quel momento. L’evidenza della piaga dell’aparthaid
ancora visibile, i giovani dai fisici prestanti che si esibiscono nelle loro
evoluzioni coi kite e coi windsurf,
il bagno in mezzo ai buffi pinguini, le foto agli imprevedibili babbuini e poi,
la sera, la cena in spiaggia sul fare del tramonto, il vento, il nostro vociare
ed i nostri canti che diventano sottofondo e sfondo per qualche bacio rubato tra
vecchi e nuovi amori sorti all’improvviso…
Ebbene, Ste, credo di averti detto tutto quello che mi è passato per la
mente.
L’onda di parole, sensazioni, emozioni è già andata e mi sento meglio, ora.
Credo di essere riuscito a trasferirti almeno una piccola parte dell’entusiasmo
e delle difficoltà, dell’allegria e della fatica, dei piaceri e delle paure che
hanno contraddistinto questo viaggio, ma che sono proprie di ogni nostra
esperienza di vita. Credo di essere riuscito a farti riflettere su quanto
inutili e falsi sono i limiti che ci poniamo o che ci vengono posti. Spero di
riuscire ad avere per ancora lungo tempo la forza di alimentare ed incoraggiare
la tua voglia di fare, il tuo desiderio di sapere, la tua freschezza, la tua
esuberanza, la tua allegria.
Ho ricevuto il tuo ultimo SMS, Ste, in cui mi informavi del voto di inglese. Vai
avanti così e non fermarti di fronte a nulla: hai una vita intera davanti,
giocatela e vivila! Per quanto mi riguarda, con tutti i miei limiti, non chiedo
di meglio se non di esserti da esempio, il più possibile positivo…
Good luck, Ste!
Un grosso bacio ed un caldo abbraccio, il tuo papy
Per approfondimenti
www.mauriziodoro.it
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