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Boddhidarma e le arti marziali Shao Lin

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A cura di Carlo Di Stanislao & Guido Bernardini

Ampiamente tratto da uno studio del Maestro Mario Lombardi, che sentitamente l’AMSA ringrazia

Il monaco indiano Boddhidarma (Ta Mo in cinese, Duruma in giapponese) figlio del re Sugunda, 28° Patriarca Buddhista e seguace della Scuola Mahayana, alla morte del suo maestro Prajnatara andò in Cina. Egli si allontanò dall’India perché aveva notato che il buddhismo era divenuto un’etica rituale ed aveva perso la sua connotazione di novità. Si pretendeva di arrivare all’Illuminazione attraverso l’osservanza pedissequa dei gesti di Buddha, quasi avessero una connotazione magica. Non vi era libertà di azione, ma si era ricaduti nello sterile muoversi attorno ad idee prefabbricate dall’uomo stesso. Buddha aveva insegnato la sua dottrina perché l’uomo si rendesse libero, ed ecco che l’uomo, avvalendosi di quella dottrina, si rendeva prigioniero del proprio mezzo di libertà. 

Giunse nel 520 d.C. e fu ricevuto dall’imperatore Wu DI, ma rimase deluso dal buddhismo praticato alla corte cinese. Fu allontanato dall’Imperatore in quanto la dottrina propugnata da Boddhidarma, basata sull’uguaglianza degli uomini e sul rispetto assoluto della vita, era malvista presso la Corte Imperiale. Non potendo essere allontanato dalla Corte, in quanto la sua figura era molto famosa, fu invitato a recarsi presso i Monasteri Shao Lin ( Shao Lin-si in cinese; Sho rin in giapponese). Egli fu il ventottesimo nella linea di successione e trasmise l’insegnamento di Buddha al cinese Eka e da allora la trasmissione continuò da un Patriarca ad un altro. Dal Patriarca Eno si ebbero due discepoli: Nangaku Egio e Seighen Gyoshi. La tradizione vuole che a Shao Lin Boddhidarma abbia fondato una scuola impostata sulla meditazione: Dhyana in sanscrito, Ch’an in cinese, Zen in giapponese. Insegnò inoltre ai monaci degli esercizi di respirazione ( qi gong; chi kung) e di ginnastica per fortificare il loro fisico, messo a dura prova da pesanti sedute meditative in zazen. Secondo la leggenda insegnò anche una lotta, avendo, egli, fatto parte della casta dei guerrieri ksatryia, che con il tempo fu perfezionata ed arricchita grazie anche al contributo di altri monaci ed esperti dell’arte marziale che si recavano in Shao lin per la crescente fama del luogo. 

Per Boddhidarma le arti marziali (Wu-shu, ossia "arte della guerra") servivano come rafforzamento del corpo, ma servivano specialmente al perfezionamento personale e spirituale del praticante: Wu costituiva la virtù marziale. La sua primitiva forma di lotta si chiama Shorijin Kempo. Certamente i monaci Shao Lin già praticavano un loro tipo di arte marziale, ma l’ingresso della cultura indiana fornì il substrato necessario per una valenza morale, non permettendo che la pratica degenerasse in una disciplina violenta. Nel 621 il principe Li Shimin, fatto prigioniero dai soldati del generale Wang, fu liberato da un gruppo di monaci Shao Lin; come ringraziamento, una volta divenuto imperatore, ricompensò generosamente i monaci, permettendo di addestrare militarmente alcuni religiosi: nacquero così i monaci guerrieri, che si esercitarono specialmente nel combattimento a mani nude, ma non disdegnando l’uso delle armi. 

I tanti metodi di lotta nati in Cina si sono sviluppati lungo due direttrici. La prima prende il nome di nei-chia, insieme di stili interni o morbidi di combattimento. Il principale di questi stili è il tai-chi-chuan, la cui base spirituale è data dall’I Ching. Gli stili morbidi svilupparono il concetto taoista del wu-wei, la "non azione": è la capacità di dominare le circostanze senza opporvisi, che consente di sconfiggere l’avversario cedendo apparentemente al suo assalto per neutralizzarlo con movimenti per lo più circolari, rivolgendo contro di lui la sua stessa forza. Il Tao (Do in giapponese) si fonda sui due principi complementari Yin e Yang: nessuno dei due può esistere senza l’altro. Nel XIII secolo, un prete taoista Chang Sanfeng, considerato il padre del tai-chi.chuan concentrò l’attenzione sull’energia interiore che può manifestarsi all’esterno anche nelle persone meno prestanti. L’atra direttiva è data dagli stili esterni o duri che si basano sull’idea della forza data in linea retta. Gli stili esteriori più facili da comprendere furono esportati nelle altre regioni dell’Oriente, dove divenne tak-wondo in Corea, karate-do in Okinawa; gli stili morbidi generarono lo Ju-do e l’ai-ki-do in Giappone. 

L’immediatezza dello Zen che puntava sull’intuizione (contrapposta all’erudizione libresca) e sull’imperturbabilità si adattava bene alla mentalità semplice del guerriero giapponese. Lo zen si innestò sulla religione autoctona, lo shintoismo e costituisce l’etica del bushi-do, il codice d’onore del samurai. Dopo la battaglia di Sekigahara, nel 1600, si instaurò un lungo periodo di pace instaurato da Ieyasu Tokugawa, e questo portò alla disoccupazione di molti samurai: alcuni di questi iniziarono uno studio particolareggiato sull’uso delle armi e del combattimento a mani nude. A differenza del periodo precedente in cui le scuole erano gestite dai clan, ora si aprono scuole aperte a tutti. L’uso strategico del corpo umano portò questo a livelli elevati di maestria e si formò il bu-do: tramite l’Arte marziale si tendeva a raggiungere anche un livello spirituale.

Nel sud della Cina queste forme di lotta si unirono a forme di lotta provenienti dalla vicina Okinawa; da qui si spostarono in Giappone finchè divennero sempre più frequenti i contatti tra il sud della Cina, il Giappone ed Okinawa. Ad Okinawa si formò una serie di forme di Scuole di Arti Marziali, che nell’insieme dettero vita all’Okinawa-te, Agli inizi del 900 un maestro Gikin Funakoshi ideò un tipo di lotta che chiamò Kara-te per contrapporlo al Kobudo, Arte Marziale che prevede l’uso di armi, e chiamò questa forma di kara-te Shoto-kan in quanto praticato in una casa (kan) della città di Shoto. Un suo allievo portò avanti lo studio sul Karate ed ideò una forma di Karate basata sulla morbidezza dei movimenti e della velocità di spostamento del corpo, il Wado Ryu. Il resto è storia dei nostri giorni. 

Per approfondire
· Corradini P.: Cina. Popoli e società in cinque millenni di storia, Ed. Giunti, Firenze, 1996.
· Chang Dzu Y., Fassi R.: Il Tai Chi Chuan. Il segreto dell’energia vitale, Ed. De Vecchi, Milano, 1991. 
· Daniele F.: Il potere segreto del corpo nelle arti marziali (Nei Gong-Lavoro interno), Ed. Luni, Milano, 2003. 
· Moiraghi C.: Tai Ji Quan. La forma lunga e la forma breve. La tradizionale disciplina cinese per armonizzare lo stato vitale dell’organismo, prevenire le malattie, Ed. Pan Libri, Milano, 1999. 
· Roberts J.A. G.: Storia della Cina, Ed. Il Mulino, Milano, 2002. 

Indirizzo per chiarimenti
Carlo Di Stanislao
E-mail: amsaaq@tin.it


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